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FORMAZIONE E CAMBIAMENTO

  • Immagine del redattore: Vittorio Mellini
    Vittorio Mellini
  • 4 dic 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

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LA CAVERNA DI PLATONE COME METAFORA DEL CAMBIAMENTO


Sappiamo tutti quanto sia importante la formazione in azienda. Gli interventi formativi possono riguardare ambiti diversi e soprattutto possono avere impatti diversi dal punto di vista dei risultati attesi. Giorgio Beltrami, professore all’Università Bicocca di Milano e consulente aziendale ha di recente scritto un interessante articolo sui processi di cambiamento in azienda. Beltrami scrive:

"Prendendo spunto da Morgan Gareth vorrei condividere una potente metafora del cambiamento: la caverna di Platone. Il mito rappresenta una caverna con l’entrata aperta verso una luce fiammeggiante. All’interno vi sono dei prigionieri incatenati e impossibilitati a muoversi: possono quindi solo vedere la parete della caverna che è di fronte a loro. La luce fiammeggiante illumina questa parete e proietta sulla stessa ombre di individui ed oggetti. Ombre che i prigionieri assimilano alla realtà dando loro nomi propri. In tal modo per i prigionieri la realtà e la verità sono relegate al mondo delle ombre. Se però uno dei prigionieri avesse l’opportunità di lasciare la caverna immediatamente si renderebbe conto di come le ombre non sono altro che dei riflessi della realtà e che le conoscenze dei compagni sono ampiamente distorte e falsate. Se lo stesso prigioniero decidesse di far ritorno alla caverna non potrebbe più seguire i vecchi schemi dato che ha sperimentato il mondo come realtà profondamente diversa. E’ anche presumibile che l’eventuale tentativo di trasmette ai compagni - ancora prigionieri - la sua esperienza e la visione di un mondo diverso sarebbe un tentativo vano e fonte di ilarità. Per i compagni prigionieri le immagini della caverna hanno molto più significato di un mondo mai visto e ora raccontato loro da un compagno che, attraverso le sue narrazioni, mina in profondità le loro convinzioni. Un dubbio che se si insinuasse non consentirebbe loro - come già al loro compagno - di comportarsi con la stessa convinzione rispetto al sistema delle ombre. Ciò inevitabilmente non può che generare una visione del mondo esterno come di una minaccia e di un luogo pericoloso. Così facendo, da un lato, sono portati a rafforzare i tradizionali modi di vivere e, dall’altro, si condannano a rimanere prigionieri di un mondo da loro stessi generato. .Nascono così le "prigioni psichiche" in cui molte organizzazioni restano consegnate a vita impedendo loro di cambiare e avviare processi di innovazione reali. Le prigioni psichiche non solo altro che sistemi e schemi di pensiero ed azione che, consolidandosi e cristallizandosi nel tempo, generano delle vere e proprie trappole mortali auto edificate di cui spesso non si ha percezione perché la trappola viene identificata con un elemento esterno. In tal modo ci si inibisce la possibilità di immaginare e creare un mondo diverso. Come rappresentato da Platone è dall’esterno che questi schemi possono essere scardinati. Ma nel caso in cui il condizionamento delle strutture di pensiero storiche e consolidate risultasse più forte anche le proposte più sfidanti e stimolanti verrebbero rilette attraverso il filtro di schemi consolidati e quindi finirebbero per essere percepite come una minaccia. Già Irving Janis parlava del "pensiero di gruppo" come di una patologia tipica delle organizzazioni che col tempo tendono a diventare autoreferenti: assolutamente incapaci di mettere in discussione i loro assunti impenetrabili a qualsivoglia spinta esogena. A differenza di altri processi che generano resistenza al cambiamento la caverna platonica o il pensiero di gruppo sono connotati dalla "consapevolezza" e quindi risultano ancora più pericolosi perchè frutto di scelte e convinzioni profonde".


Quello di Beltrami è un contributo molto interessante che lascia ampio spazio a diverse valutazioni e interpretazioni. E’ sicuramente una metafora suggestiva che in molte organizzazioni può essere di grande aiuto per avviare processi di cambiamento e consapevolezza di sé.

La vera sfida, come ben sappiamo, è generare il cambiamento, avviare una stimolazione capace di produrre degli effetti, essere una guida capace di orientare verso l’uscita o meglio le possibili uscite, le possibili realtà, i possibili obiettivi.

Nel fare questo, da formatore, mi sento di dire che occorre porre molta attenzione a non diventare noi stessi il "prigioniero che decide di fare ritorno" perchè a quel punto, come è stato evidenziato benissimo nell’articolo, le proposte più sfidanti potrebbero essere percepite come minacce. La caverna da tetro nascondiglio diventerebbe un luogo sicuro, protetto e confortevole capace di garantire quell’area di comfort nella quale spesso rimaniamo intrappolati.

Rimane il fatto che le caverne sono tante e anche noi mentre stiamo scrivendo e commentando siamo seduti, più o meno comodamente, di fronte ad una calda luce fiammeggiante.

V.M.

 
 
 

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